Novità

Un paio di settimane fa ho ricevuto una telefonata gentile e diretta: Laura Bellotti, del gruppo che cura la sezione fotografia di Vergato Arte, mi invitava a esporre dal 19 maggio, per un paio di settimane. Il tempo è poco, ma in questo ambito sono sempre pronta. Laura mi ha spiegato che questo è il primo anno che la rassegna ospita uno spazio dedicato alla fotografia. Aveva conosciuto le mie foto attraverso l’artista Massimiliano Usai e le erano piaciute.

Oggi sono andata a vedere lo spazio espositivo. A Vergato si arriva con grande facilità lungo la Porrettana, attraverso curve di sole e alberi, tra il piccolo fiume Reno e gli Appennini, con camionette che vendono frutta solitarie ai lati delle strade, sfilando in mezzo a rade case e tanto verde, infilando uno dopo l’altro i paesi della collina – Sasso Marconi, Marzabotto, Pian di Venola, Sibano – fatti di sasso, trattorie, una chiesa, dei bar.

Vergato alle tre del pomeriggio era solitaria e un po’ stupita di vedermi. Il posto che cercavo è in un appartamento sopra un bar anni Cinquanta dove ho mangiato una pasta alla crema. Poi son salita. C’erano solo donne, pulivano il pavimento, scattavano foto con il cellulare, spiegavano a me quanto spazio avrei avuto a disposizione. Erano loro le persone che stanno mettendo in piedi questa iniziativa dal niente, in un luogo dove la circolazione dell’arte non è certo scontata. La galleria è molto grande, con colonne robuste e pareti bianche, soffitti bassi e finestre ampie, di luce. Un luogo bellissimo.

Quindi «Le metamorfosi» rimetteranno la testa fuori, a breve, e si faranno un giro in collina.

(Poi c’è anche un’altra novità, artistica e cittadina – e importante – ma non è ancora venuto il momento di parlarne).

Ma se uno entra

«Ci sembrava un luogo particolarmente adatto a essere “segnato” per riconoscerlo. Questo lavoro di riconoscimento è particolare perché non è gridato forte, ci si può passare davanti mille volte e non capire. Ma se uno entra, è obbligato a un percorso mentale che lo rende partecipe in un modo molto più intenso».

Letizia Gelli Mazzuccato – architetto del monumento ai caduti di Sabbiuno, insieme a Umberto Maccaferri e Gian Paolo Mazzuccato (del Gruppo Architetti Urbanisti Città Nuova)

5B7A7738Sacrario di Sabbiuno, Bologna.

Le cose che restano vive

Quando si prende il largo restano vive solo le cose vive.

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Certe letture. Venezia che palpita da qualche parte dentro e fuori di me. Le affinità elettive. Gli affetti grandi, quelli dove il bene sta nel punto di incertezza tra la risata e le lacrime. L’arte con il suo rigore di vita e di morte. Il vino, ma solo il vino eccellente. L’odore che hanno le città in primavera, ciascuna il suo proprio. I ricordi d’infanzia. I ricordi di scuola. Quella volta a giocare a carte in un paesino sotto le Meteore. Il momento in cui dopo mille tentennamenti entri in mare anche con la testa e in quella sordità umida ritrovi l’utero di tua madre. Quando leggi qualcosa e ti viene da piangere. Far parte di un coro femminile che si è costruito con la pratica teatrale ma soprattutto con le cose fatte insieme, dal basso dei gesti e non dall’acuto delle parole. E altro.

fuori collana

Che ci facciamo di una foto così? Di un periodo così? Un periodo quasi bello e invece teso, che gira veloce e non succede niente, di volti nuovi e sogni vecchi, fatiche che non riesco a incarnare, frustrazione perché non fotografo, non scrivo, non cammino, non amo. Che ne facciamo? Niente, stiamo lì.

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