

Non so cosa fa l'arte alle persone che la guardano, ma salva quelle che la fanno, Maurizio Cattelan (da «33 artisti in 3 atti», Sarah Thorton, Feltrinelli 2015)


Il progetto fotografico #MariAperti… si è riaperto.
Quest’estate si sono spalancati davanti a me gli abissi delle basse maree di Bretagna e Normandia, spazi di impermanenza, cicli di vuoti e pieni spaventosi e bellissimi, dove il mare si ritira per lasciare posto a una distesa di sabbia che imita il deserto – a un incantevole inganno.
Ho avuto l’impulso di ricominciare a raccontare quella dimensione con gli strumenti della mia fotografia, che negli anni è diventata ancora più rarefatta.

Il lupo e cappuccetto rosso, nell’opera di El Niño 76 che si affaccia sul fiume, sulla destra, sembrano dare il benvenuto all’inferno.

Charleroi è un posto talmente ostile che sembra la parodia della città malfamata, sembra Gotham City. Non c’è nessuno in giro, solo pochi soggetti malandati, o pessimi; in genere uomini. Le piazze sono sventrate, come a L’Aquila. I negozi vuoti. I palazzi inagibili e grigi. Questo viale tra la stazione e il fiume è l’unico in cui mi sia sentita di tirare fuori la macchina fotografica.
La città ha tassi di disoccupazione molto alti, e quasi la metà della popolazione non ha un titolo di studio. Non ero mai stata in un luogo così deprimente, così perduto.

Secondo Kiki Smith, quando fai il ritratto a una persona giovane è tutta luce, e dopo i quarant’anni le cose cambiano. Beh, non sempre.





Più che scattarla, più che lavorarla, è quando la stampo, una foto, che comincia a esistere. E la sua esistenza, i primi giorni, mi dà una smania felice che corre per la casa come una scimmia.
