

Non so cosa fa l'arte alle persone che la guardano, ma salva quelle che la fanno, Maurizio Cattelan (da «33 artisti in 3 atti», Sarah Thorton, Feltrinelli 2015)


Il progetto fotografico #MariAperti… si è riaperto.
Quest’estate si sono spalancati davanti a me gli abissi delle basse maree di Bretagna e Normandia, spazi di impermanenza, cicli di vuoti e pieni spaventosi e bellissimi, dove il mare si ritira per lasciare posto a una distesa di sabbia che imita il deserto – a un incantevole inganno.
Ho avuto l’impulso di ricominciare a raccontare quella dimensione con gli strumenti della mia fotografia, che negli anni è diventata ancora più rarefatta.

È uscita adesso un’intervista, risalente a metà maggio, a proposito della mia foto vincitrice del contest Letizia Battaglia – Persone.
Alla fine di maggio, la persona che avevo fotografato – un uomo raro per verità e umanità – ha perso la vita in montagna.
Ora questo articolo mi lascia smarrita, tanto più che inizia con la frase di Nan Goldin che tanto mi è di ispirazione: «Credevo che non avrei perso nessuno, se lo avessi fotografato».
Alla mostra di Sol LeWitt Between the Lines, ospitata alla Fondazione Carriero di Milano, ho scattato alcune foto. In particolare, da una posizione improbabile, ho azzardato questa – che ora vive su un testo universitario Zanichelli.
Non sarà l’immortalità, ma una qualche durata sì.

Giovedì 22 giugno, cioè giovedì prossimo, inaugura Upon Reflection, una collettiva di fotografia alla quale ho l’onore di partecipare con quattro opere da «Le Metamorfosi», per lo più mai esposte.
La curatela del mio progetto è della grandissima Veronica Ceruti, che ha scritto un testo del quale non la ringrazierò mai abbastanza.
Da ieri ho le stampe definitive e aver incrociato Federico Borella che usciva da Fina Estampa mentre entravo io mi è sembrato come minimo di buon auspicio.
Upon Reflection, collettiva di fotografia
22 giugno 2017, ore 18:00
presso la galleria B4, via Vinazzetti 4/b, Bologna
Venite? Io non mi sposerò mai, quindi il mio matrimonio è un po’ questo (anzi, matrimoni, che mica intendo fermarmi).

Perché fotografo il mio, di corpo? Perché è più semplice. C’è un’intimità spietata e amorosa nei miei scatti, non immediatamente proponibile con il corpo di un altro.
Sono però riuscita ad avvicinarmi a questa possibilità fotografando la mia amica più vicina, Carlotta. A conferma che questo lavoro non è mestiere, ma relazione.
«Ci sembrava un luogo particolarmente adatto a essere “segnato” per riconoscerlo. Questo lavoro di riconoscimento è particolare perché non è gridato forte, ci si può passare davanti mille volte e non capire. Ma se uno entra, è obbligato a un percorso mentale che lo rende partecipe in un modo molto più intenso».
Letizia Gelli Mazzuccato – architetto del monumento ai caduti di Sabbiuno, insieme a Umberto Maccaferri e Gian Paolo Mazzuccato (del Gruppo Architetti Urbanisti Città Nuova)
Sacrario di Sabbiuno, Bologna.
Dal 28 gennaio alla Casa di Barbara ci saranno le opere di Jessica Ferro, che espone dopo le mie Metamorfosi. Ieri è andata a studiare gli spazi e le sue e le mie opere si sono incontrate – stupenda staffetta di arte in Bolognina.

«Ha appena finito questa preghiera, che un pesante torpore le pervade le membra, il petto tenero si fascia di una fibra sottile, i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami; il piede, poco prima così veloce, resta inchiodato da pigre radici, il volto svanisce in una cima. Conserva solo la lucentezza».
Ovidio, «Metamorfosi» libro I, trad. Piero Bernardini Marzolla

Torno da Roma. Guardando l’ex caserma dipinta da Blu vicino all’ostiense ho pensato che un senso dello spazio così, un’ambizione di fare un’arte tanto vasta e concreta, sono tratti quasi rinascimentali. Blu lascia senza fiato, come Michelangelo.
Un particolare dal murales di Blu. Quartiere ostiense, Roma (2016).